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« Torna agli articoli di Massimo Introvigne
Il Papa ha voluto concludere personalmente, il 26 dicembre, l'anno dedicato alle celebrazioni del centenario della nascita della beata Madre Teresa di Calcutta (1910-1997), pranzando nell'Aula Nervi con 350 senza tetto e con le suore di Madre Teresa che li assistono. «Celebrare cento anni dalla sua nascita – ha detto il Papa – è motivo di gratitudine e di riflessione». Madre Teresa «ha saputo riconoscere in ognuno il volto di Cristo, da Lei amato con tutta se stessa: il Cristo che adorava e riceveva nell'Eucaristia continuava ad incontrarlo per le strade e per le vie della città, diventando un'immagine viva di Gesù che versa sulle ferite dell'uomo la grazia dell'amore misericordioso».
Dell'anno centenario della Beata Madre Teresa, che in questi giorni si chiude, dovrebbero rimanerci due pensieri. Il primo è che la grande piccola suora non confuse mai la carità cristiana con un generico umanitarismo. Certo, portava il suo amore a tutti e non soltanto ai cristiani. Ma a chi non conosceva Cristo, dopo l'indispensabile pane materiale, non mancava mai di porgere anche il pane vivo del Vangelo. I poveri – ha ricordato il Papa quest'anno nell'esortazione apostolica Verbum Domini – sono sempre «bisognosi non solo di pane, ma anche di parole di vita. La diaconia della carità, che non deve mai mancare nelle nostre Chiese, deve essere sempre legata all'annuncio della Parola». L'offerta del pane o delle coperte che rinunciasse esplicitamente all'evangelizzazione sarebbe solo una mezza carità, o peggio una forma implicita di relativismo. Caritas in veritate, secondo il titolo dell'enciclica del 2009 del Papa: la carità materiale delle medicine e del cibo non dev'essere mai disgiunta dalla carità della verità.
Il secondo pensiero, che si tende spesso a dimenticare, è che in molti suoi interventi e discorsi la beata Madre Teresa ha ricordato con parole accorate il dramma dei poveri più poveri e più abbandonati: i bambini uccisi con l'aborto. Anche quando la si invitava a parlare d'altro, trovava spesso occasione d'inserire un riferimento alla difesa della vita. Trascurando le convenzioni e il gergo politicamente corretto che di solito circonda il Premio Nobel, quando le fu assegnato il riconoscimento nel 1979 – che era, tra l'altro, l'«Anno del bambino» proclamato dalle Nazioni Unite – stupì il pubblico di Oslo denunciando con parole fortissime l'aborto.
«La pace oggi – disse – è minacciata dall'aborto, che è una guerra diretta, un'uccisione compiuta dalla stessa madre. Anche il bambino non ancora nato è nelle mani di Dio. L'aborto è il peggior male e il peggior distruttore della pace. Noi non ci saremmo se i nostri genitori non ci avessero voluto. I nostri bambini li abbiamo desiderati e li amiamo. Ma che ne è degli altri milioni? Molti si preoccupano dei bambini dell'India e dell'Africa, che muoiono di fame e malattie, ma milioni muoiono per espressa volontà delle madri. L'aborto distrugge la pace: se una madre può uccidere il proprio bambino, che cosa impedisce a me di uccidere voi e a voi di uccidere me? Niente. All'inizio dell'"Anno del bambino" ho chiesto: facciamo in modo che ogni bimbo possa nascere e che ogni non desiderato possa diventare desiderato. L' Anno è alla fine: i bambini li abbiamo veramente desiderati?».
Invitata a parlare alle Nazioni Unite nel 1985, ritorna sullo stesso tema: «Impediamo che vengano uccisi i bambini non ancora nati. L'aborto è una grave minaccia per la pace. Quando eliminiamo un bambino non nato stiamo cercando di eliminare Dio».
L'anno della Beata Madre Teresa è stato una grazia per la Chiesa. Ma dobbiamo evitare di cadere nella retorica che la riduce all'icona di un semplice, banale umanitarismo, buono per tutte le ideologie e per tutte le stagioni. Madre Teresa non era così. Il suo cuore era grande, era per tutti. Ma un posto speciale nel cuore della Beata lo occupavano i bambini non nati. Chi li uccide, secondo il pensiero di Madre Teresa, sta cercando più o meno consapevolmente di uccidere Dio.
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